Vasari operò anche come architetto, ispirandosi inizialmente a Michelangelo. Usò molto la pietra toscana, ma anche il marmo, le pietre dure e gli intarsi, rivisitando lo stile antico con invenzioni nuove dal punto di vista funzionale. Ad Arezzo realizzò il sostegno dell’organo del Duomo, la vela campanaria del Palazzo della Fraternita dei Laici in Piazza Grande, inoltre seguì, nel 1554, la ristrutturazione del presbiterio del Duomo e, dal 1565 al 1573, l’ammodernamento della Badia delle Sante Flora e Lucilla.
L’ultima grande opera del Vasari nella sua città d’origine furono le Logge, che si mostrano in tutta la loro maestosità in Piazza Grande. Ricevette l’incarico dai Rettori di Fraternita e dal Consiglio generale cittadino nel 1570 e il lavoro fu terminato nel 1593. Nel Museo di Casa Vasari è conservato il modello in legno di due campate, proposto dall'artista nel 1572.
Nel territorio aretino, le “tappe vasariane” da non perdere sono a Cortona, dove il Vasari lavorò al cantiere di Santa Maria Nuova e al progetto per il rinnovamento di Santa Maria della Querce, mentre delle sue opere pittoriche troviamo testimonianza negli affreschi dell’Oratorio del Gesù.
A Castiglion Fiorentino progettò il Tempio di Santo Stefano a Foiano e nella Chiesa di San Francesco si conserva la sua “Madonna con il Bambino tra i santi Anna, Silvestro e Francesco”; mentre a Monte San Savino si trova l’“Assunzione della Vergine tra i santi Agostino e Romualdo”, nella Chiesa di Sant’Agostino.
Sorprendente è il Monastero di Camaldoli (all'interno del Parco delle Foreste Casentinesi, a Poppi), a cui il Vasari dedicò importanti dipinti. Nella Chiesa dei santi Donato e Ilariano troviamo la “Madonna con il Bambino tra i santi Giovanni Battista e Gerolamo”, la meravigliosa “Natività”, a cui molti eruditi dedicarono lodi in versi latini, e la tavola dell’Altare Maggiore, ricca di colori e luci, in cui si nota un’importante evoluzione dello stile dell'artista, ormai fuori dalla protezione medicea e che in questo periodo cupo inizia un forte legame con i monaci camaldolesi.
Articolo originale di Katia Boccanera